albertogo ha scritto:

Leadingtherats ha scritto:

kurosaki ha scritto:comunque c'è uno sfacelo giuridico a su queste cose... la professoressa di diritto della mia morosa, che è avvocato, si è lamentata spesso che una palpata di sedere è violenza sessuale, mentre uno stupro in cui si riesce a scappare è "tentata" violenza sessuale... con conseguente diminuzione netta della pena...

Beh, 'spetta. Visto che ogni comportamento violento attinente la sfera sessuale costituisce violenza sessuale, la forbice tra massimo e minimo edittale è molto ampia (pena base da 5 a 10 anni, con possibilità di diminuirla sino a due terzi nei casi di minore gravità). Quindi, ad esempio, per una palpata di sedere si applicherà il minimo della pena diminuito, per un tentato stupro la diminuzione di pena relativa al tentativo può essere applicata anche sul massimo edittale.

sei andato bene fino ad un certo punto.. Poi hai iniziato a parlar per difficile..
edittale??

albertogo ha scritto:Grazie iset per non avermi fatto far la solita figura dell'ignorante..

Iset ha scritto:

albertogo ha scritto:Grazie iset per non avermi fatto far la solita figura dell'ignorante..

Maestro ha scritto:"Edittale" significa "mettete qui la parola che vi sembra stia meglio"
E' uno dei segreti non detti della lobby degli avvocati

Something Wild ha scritto:Cioè, ad esempio:

Palpata di culo ----> 5 anni

Tentativo di stupro ----> 20 anni ridotto a 10, che è comunque sempre di piu

Ho capito giusto?...

Something Wild ha scritto:Capito... Grezie avvocato...

Leadingtherats ha scritto:La intesto a te la porcella per la consulenza?

Leadingtherats ha scritto:

Something Wild ha scritto:Capito... Grezie avvocato...

Di niente.

La intesto a te la parcella per la consulenza?

AVANCES IN UFFICIO, CONDANNATO PER MALTRATTAMENTI
ROMA - "Gli atti vessatori, che possono essere costituiti anche da molestie o abusi sessuali nell'ambiente di lavoro oltre al cosiddetto fenomeno del mobbing, risarcibile in sede civile, nei casi più gravi possono configurare anche il reato di maltrattamenti". Con questa motivazione la Terza Sezione Penale ha condannato al carcere un capo ufficio che più volte aveva tentato approcci sessuali verso una sua dipendente.

La Cassazione allarga così il concetto del reato di 'maltrattamenti in famiglia' anche a quel tipo di rapporti che pur non richiedendo la convivenza come in coppia, sono comunque 'rapporti continuativi' dove la vittima è una 'persona sottoposta all'autorità ' di colui che compie il reato. Un capo che vessa continuamente una propria subordinata rischia quindi sia una condanna in sede civile, per mobbing, che in sede penale.

In questo caso il signor Angelo D. aveva tentato di ottenere rapporti sessuali da una sua dipendente, Emilia, invitandola spesso nel suo ufficio a visionare cassette porno, tentando piu' volte di stupirla con frasi sessuali fino ad arrivare a minacciarla di non regolarizzare la sua posizione lavorativa se non avesse 'ceduto alle sue avances'. Il 'capo molestatore' è stato condannato dalla Corte D'Appello di Caltanissetta per violenza sessuale e maltrattamenti.

La Cassazione nella sentenza n.27469 ha sottolineato che l'art 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia) "ha ampliato la categoria di persone che possono essere vittime di maltrattamenti aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sottoposta all'autorità dell'agente. Sussiste il rapporto di autorità quando una persona dipende da altre mediante un vincolo di soggezione particolare (ricovero, carcerazione, rapporto di lavoro subordinato)". In questo caso quindi il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore subordinato essendo "caratterizzato da potere direttivo e disciplinare pone quest'ultimo nella condizione di 'persona sottoposta ad autorita'".

TELEFONATE E SQUILLI INSISTENTI, CONDANNATA
ROMA - Aveva fatto chiamate di breve durata per due o tre mesi in qualsiasi ora del giorno e della notte perseguitando così i vicini di casa con i quali aveva avuto diverse discussioni. Ma alla signora Carla questo gioco è costato una condanna per molestie telefoniche dal Tribunale di Torino, sentenza poi confermata dalla Prima sezione penale della Cassazione.

La famiglia vittima delle telefonate anonime era riuscita a individuare nel 'persecutore' la propria vicina che spesso faceva chiamate di breve durata con parole accennate e spesso semplici squilli. Condannata dal Tribunale di Torino la signora Carla ha fatto poi ricorso in Cassazione perché anche se le telefonate risultavano a suo nome lo stesso non si poteva dire per gli squilli di cui non rimaneva traccia nei tabulati.

Ma gli 'ermellini' nella sentenza n. 29971 hanno spiegato che: "La ripetitività degli episodi e l'esistenza di un accertato movente (liti tra vicini da tutti riconosciute ed ammesse) valgono ad escludere occasionali errori nella composizione del numero. la quantità, gli orari, la concentrazione temporale (tra il 28 aprile e il 14 giugno 2004) e le modalità delle chiamate (interruzione della comunicazione prima o subito dopo la risposta) costituiscono indubbiamente una ingiustificata interferenza nell'altrui sfera privata, capace di turbarne la serenità e riconducibile a quel modo di agire indiscreto e impertinente che integra il concetto di petulanza".