Un'irruzione "immotivata", quella degli agenti del Commissariato Arenella, entrati ieri senza mandato al Policlinico II di Napoli dopo aver avuto notizia di un feticidio e trovatisi davanti invece un regolare aborto terapeutico, in pieno rispetto della legge 194. Ed una "grave intimidazione", denunciata in un comunicato dall'Udi, Unione delle donne in Italia, che ha stigmatizzato l'episodio che continua a far discutere.
Sull'aborto compiuto ieri nel reparto di ostetricia della struttura universitaria napoletana - che ha causato l'intervento delle forze dell'ordine ed il sequestro della cartella clinica della donna coinvolta - il direttore generale del Policlinico Giovanni Canfora ha avviato un'indagine interna. E anche il ministro della Salute, Livia Turco, ha commentato l'episodio: "Sono profondamente turbata, è il sintomo di un clima di tensione inaccettabile, attorno a una delle scelte più drammatiche per una donna come quella di rinunciare ad una maternità. Siamo arrivati al punto di fare e usare denunce anonime. Una caccia alle streghe".
Nella relazione del primario, Carmine Nappi, si legge che "il feto presentava un'alterazione cromosomica. Se la gravidanza fosse stata portata a termine ci sarebbe stato il 40% di possibilità di un deficit mentale. La donna ha presentato un certificato psichiatrico della stessa struttura universitaria sul rischio di 'grave danno alla salute psichica', che ha autorizzato l'intervento". Una misura terapeutica, quindi, nel pieno rispetto della legge 194, effettuata alla ventunesima settimana di gravidanza.
La donna che ha praticato l'aborto, espellendo per altro un feto morto, ha 39 anni ed è stata dimessa questa mattina. Oltre la cartella clinica della paziente, anche il feto - del peso di 460 grammi - è stato sequestrato dalla polizia, su disposizione del pm.
"Si è trattato di un aborto terapeutico. Una decisione difficile, sofferta", racconta oggi la donna, S. S., ascoltata ieri dalla polizia subito dopo l'interruzione volontaria di gravidanza. E ripete oggi quanto spiegato agli agenti, intervenuti nel reparto in seguito a una denuncia che informava la polizia di un aborto oltre i limiti di tempo previsti dalla legge.
"Mi è stato chiesto se per abortire avevo pagato - aggiunge la donna - ed ho spiegato che non era stato così. I risultati dell'amniocentesi, ritirata lo scorso 31 gennaio, avevano accertato che il feto soffriva della sindrome di Klineferter, un'anomalia cromosomica".
Per Rina Gagliardi, senatrice del Prc, si tratta di un "fatto gravissimo". "Si prova uno sgomento immenso nel leggere notizie come quella pubblicata oggi dai quotidiani on line", aggiunge Gagliardi". "Vogliamo conoscere i responsabili di questo gesto violento e irrispettoso e chiediamo che paghi per questa inqualificabile, disgustosa condotta" conclude la senatrice.
E ancora
"Mi hanno trattata in un modo assurdo. Interrogata come se avessi fatto chissà che. E invece io soffrivo, quel figlio lo volevo a tutti i costi. Mai avrei abortito se non avessi avuto quel terribile verdetto".
Silvana, napoletana, vive ad Arzano (un paese alle porte di Napoli) con la mamma. Magra, poco più di un metro e 60. Sta per essere dimessa dal reparto di Ostetricia del Nuovo Policlinico dove è ricoverata da giovedì scorso. Ed è qui che l'altro ieri è stata sottoposta a un duro interrogatorio da cui non si è ancora ripresa. "Ero appena rientrata dalla sala operatoria", sibila con un filo di voce.
Come e quando ha saputo che il bimbo aveva una grave malattia?
"Ho 39 anni e mi era sembrato indispensabile sottopormi all'amniocentesi. L'ho fatto alla sedicesima settimana nell'ospedale di Frattamaggiore, non lontano da dove abito. Era il 18 gennaio e il referto con la diagnosi me l'hanno consegnato il 31. Sul foglio c'era scritto "Sindrome di Klinefelter". Poi mi hanno tradotto il significato, una cosa terribile".
Una brutta malattia?
"Sì, un difetto dei cromosomi che poteva comportare ritardo mentale, problemi al cuore, diabete e l'assenza di alcuni ormoni".
Ed è così che ha deciso di abortire?
"Non c'era altra scelta. Appena mi hanno comunicato che mio figlio sarebbe stato un malato per tutta la sua vita, non ho avuto dubbi. Ho deciso al momento, d'istinto: abortisco. Anche se sapevo che per me rappresentava una scelta particolarmente dolorosa. Mai avrei messo al mondo, da sola visto che non sono sposata, un bimbo in condizioni così gravi per il resto dei suoi giorni. E per favore che nessuno si permetta di parlarmi di egoismo, la mia è stata una scelta che va nella direzione opposta".
Quando è andata la prima volta al Policlinico?
"Il 31 gennaio, per sottopormi a tutte le indagini preliminari, dai prelievi di sangue all'elettrocardiogramma, compresa la visita dallo psichiatra".
E che le ha detto?
"Che la mia salute psichica sarebbe stata a rischio se non abortivo. E venerdì scorso mi sono ricoverata nel reparto di Ostetricia dove avevo conosciuto il dottor Leone. A lui avevo portato il referto e poi manifestato la volontà di abortire. La decisione è stata mia. Nessuno è intervenuto in questo senso. Il giorno prima ero stata anche al Cardarelli per sottopormi a consulenza genetica, me lo avevano chiesto gli specialisti del Policlinico per spiegarmi meglio la situazione del bimbo e della sua patologia. Intanto ero entrata nella 21esima settimana".
Nei termini di legge.
"Certo. Mi avevano comunicato che si poteva fare entro la 23esima settimana. Per tre giorni mi hanno somministrato i farmaci per stimolare le contrazioni dell'utero. Ma lunedì alle 11 il medico mi ha rifatto l'ecografia e si è accorto che il feto era morto".
Quindi?
"Ho continuato con la terapia e finalmente alle 6 e mezza di sera ho abortito. Poi mi hanno portato in sala operatoria e, con l'anestesia, mi hanno ripulito l'utero".
E infine, di nuovo in corsia.
"Sì, e lì ci ho trovato una poliziotta pronta a interrogarmi. Non capivo cosa stava succedendo, ero ancora sotto l'effetto dell'anestesia".
Cosa le ha chiesto?
"Mi ha bombardato di domande. Mi ha fatto terzo grado: come era successo, perché avevo abortito, chi era il padre. Addirittura se avevo pagato".
Pagato chi?
"Sospettavano che avessi dato soldi ai medici per abortire. Insistevano. E poi sono passati anche a Veronica, la compagna di stanza ricoverata per gravidanza a rischio. Mi sono trovata in una situazione assurda appena fuori dalla sala operatoria".
Sporgerà denuncia?
"Ci sto pensando, visto il trattamento che la polizia mi ha riservato, avendo già affrontato un trauma terribile che mi fa ancora soffrire".
Io abortirei chi ha fatto quella telefonata, i preti che mettono in testa certe stronzate e i poliziotti che conducono certi interrogatori.
Ma poi, diocane, a Napoli... Si preoccupassero di telefonare alla finanza sulle assunzioni degli amici camorristi di Mastella, o ai NAS sui topi che girano negli ospedali (tanto grandi che sono loro a inseguire i gatti) o degli scarafaggi grandi come scrittori.
Il giorno che sette poliziotti sequestreranno (a seguito di una telefonata anonima) l'ufficio di un datore di lavoro una cui dipendente "si è dimessa" ed è risultata incinta, forse mi ricrederò. Fino ad allora, solo massima solidarietà alla sventurata protagonista e a tutte le donne e le famiglie che si trovano in quella situazione.
E alla prima beghina o al primo baciapile che mi dice " e solidarietà al povero bambino mai nato?" il feto glie lo faccio ingoiare, porcoddio.