3.4) Technical deathAaah, il technical death metal. Per gli amici, technodeath. Niente tunz-tunz: si tratta invece di un filone tra i più scintillanti del death metal. Roba per palati fini. Beh, più o meno.
Per spiegare l'origine del fenomeno, continuo con la mia ipotetica storia romanzata. Secondo me alcuni tizi che suonavano death metal cominciarono a dirsi: "Ma insomma, sono un musicista, ho la mia dignità di musicista da difendere, e - modestia a parte - sono diventato proprio bravino: ma è mai possibile che in 'sto cazzo di death metal tutto si risolva nel suonare più veloce/più pesante/più cattivo? Non c'è proprio modo di far qualcosa che possa essere più interessante/più complicato/più confacente alle mirabolanti qualità esecutive di un fior fiore di musicista quale io sono?".
Ovviamente, il modo c'era eccome: i canoni classici di un qualsiasi stile sono lì apposta per essere infranti. Ed ecco quindi che, mentre ancora le pareti della cattedrale del death classico venivano innalzate, qualcuno già ne forzava le porte e sgattaiolava fuori in cerca di spazi espressivi più ampi.
Così (credo) nasce il technodeath. Che è death metal, senza dubbio. Ma tecnico. O meglio, più tecnico del death classico, che a sua volta in questi anni stava già arrivando a richiedere ai propri interpreti una notevole perizia. Sarebbe tuttavia semplicistico dire che il technodeath è solo death suonato "meglio"; nel technodeath la tecnica non è più un semplice strumento al servizio della composizione, ma assurge a vero e proprio elemento costitutivo della musica. La superiore capacità esecutiva, da mera espressione formale, diventa contenuto, nella misura in cui consente al musicista di accedere ad un livello superiore di complessità e ricercatezza nella composizione. In termini meno alati, questa gente sa suonare bene, e usa le proprie capacità per scrivere roba magari meno veloce/meno pesante/meno cattiva, ma più particolare e sempre parecchio figa.
Ma in cosa, di grazia, si estrinseca 'sta tecnica della quale si è blaterato sinora? Beh, dipende.
Può concretizzarsi in contaminazioni jazz; contaminazioni che dapprima hanno riguardato principalmente la sezione ritmica, e che in seguito si sono estese all'intera composizione.
Oppure può esprimersi in riffs estremamente intricati e attorcigliati, spesso sviluppati attorno a ritmiche irregolari e frequenti cambi di tempo.
O, ancora, può manifestarsi in una dimostrazione di virtuosismo chitarristico, uno shredding estremo ricorrente in numerosi assoli.
O, più spesso, in tutte queste cose messe assieme.
E ora metto le mani avanti.
Siccome conosco i miei polli, già so che qualcuno salterà su a commentare qualche gruppo di questo capitolo dicendo: "Mah, tecnici, insomma... Bravini, certo, ma vuoi mettere quanto suonano meglio i ***?". Ove *** sta per un gruppo attivo dal 2005 o giù di lì. Quindi, è meglio precisare il concetto di "tecnica" dei primi anni '90 mediante le seguenti considerazioni.
1) Il tasso tecnico generale, almeno nel metal, si evolve costantemente. Nella scena thrash/death degli anni '80 saper suonare non era proprio un optional, ma comunque una cosa soltanto consigliata (una Troops Of Doom dei Sepultura, proposta da un gruppo di oggi, farebbe dire all'ascoltatore "Ma chi li ha sciolti 'sti mentecatti?". Per l'epoca, invece, era un gran pezzo). Nei primi anni '90, fare death metal richiedeva già capacità parecchio superiori al decennio precedente: se non sapevi suonare in modo adeguato non andavi da nessuna parte. Oggi un livello tecnico pressoché mostruoso è IL MINIMO che si richiede ad una death metal band emergente che voglia fare un po' di successo.
Anzi, a ben vedere, che i musicisti siano sempre più bravi sotto il profilo tecnico è una costante più o meno in tutto il mondo della musica: a quanto mi consta, anche nella classica al giorno d'oggi ci sono esecutori che farebbero impallidire i grandi di metà Novecento.
Quindi, contestualizzate: ciò che andrete a sentire tra breve costituiva, nei primi anni '90, il meglio della tecnica nella musica estrema.
2) Non solo i musicisti evolvono, ma anche le tecnologie. Non sono un esperto di chitarre/bassi/batterie, ma credo di poter ragionevolmente sostenere che la tecnica di costruzione degli strumenti si affina di anno in anno, che sempre nuovi materiali vengono impiegati, che sempre nuove migliorie vengono utilizzate, e che tutto ciò dà vita a strumenti più "performanti", i quali consentono all'esecutore di suonare con maggiore facilità e di dar sfoggio a tutte le sue qualità tecniche.
Senza contare altri simpatici accorgimenti al limite del doping, quali il trigger alla batteria.
Senza contare ulteriori ed ancor più simpatici accorgimenti OLTRE il limite del doping. Pensate un po' a quanti errori o imperfezioni di esecuzione si possono correggere con un computer...
3) Infine, si dovrà riconoscere che è un tantino più facile intraprendere un viaggio nel meraviglioso mondo della tecnica applicata al death metal, dopo che altri, anni prima, hanno portato a termine quel percorso ed hanno fornito le coordinate. "Rifare" è sempre molto più semplice che "fare".
Concludendo: magari è vero che oggi un sacco di gruppi death suonano meglio delle bands che vi presenterò tra poco. Ma questi erano i Pionieri, che tracciavano il sentiero verso la conquista degli ignoti confini del death sui loro traballanti carri Conestoga; mentre i gruppi di oggi percorrono sì lo stesso tragitto, ma con un SUV con aria condizionata su una autostrada a sei corsie. Converrete che c'è una bella differenza.
Boia, quante chiacchiere! Urge riequilibrare subito con un po' di musica! Ecco un po' di protagonisti del technical death nella prima metà degli anni '90.
Vanno annoverati tra i primi, e forse proprio per primi, i floridiani Atheist. E qui, lo ammetto, ho barato un po' nella collocazione cronologica, visto che il loro primo lavoro risale al 1989. I tre dischi Piece Of Time - Unquestionable Presence - Elements costituiscono già un gran bell'esempio di tempi e sonorità jazz applicate al death.
Atheist - Animal, da Elements (1993)Altra roba, invece, sono i (guarda un po') floridiani Nocturnus: per loro, sulla punta delle dita poco jazz (cit.), ma shredding chitarristico a go-go. E pure le tastiere, strumento pressoché inedito nel death di quegli anni. The Key, con le sue atmosfere aliene e "spaziali", è indiscutibilmente uno dei capisaldi del death metal di tutti i tempi.
Nocturnus - Visions From Beyond The Grave, da The Key (1990)Tra coloro che hanno contribuito in modo fondamentale allo sviluppo di tale sottogenere non possono certo mancare i (ma dai?) floridiani Death, già ricordati capostipiti (almeno nel senso che già abbiamo spiegato) del death metal. I suddetti, ad avviso di chi scrive, iniziano qui la loro stagione più luminosa, con l'ottimo Human e, soprattutto, con i successivi Individual Thought Patterns e Symbolic, primi due capitoli del prodigioso trittico che troverà completamento nel lustro successivo.
E proprio su Individual Thought Patterns mi voglio soffermare, poiché è un altro dei miei dischi preferiti. Formidabile è dir poco. Tecnica a piene mani, mirabili architetture compositive, chitarre splendidamente intrecciate, melodie cristalline nei riffs e nei soli, un drumming solido e densissimo cui fa da contrappunto forse la più straordinaria prestazione bassistica che abbia mai sentito. Una dimostrazione di classe sovrumana, sotto ogni punto di vista. Il primo esempio di un modo di concepire il death a cui, negli anni a venire, tantissimi si ispireranno (e che qualcuno copierà spudoratamente).
Death - Nothing Is Everything, da Individual Thought Patterns (1993)Per realizzare il sopra citato Human, il mai troppo compianto Chuck Schuldiner aveva sequestrato tali Paul Masvidal e Sean Reinert, rispettivamente chitarraio e batteraio dei (indovinate un po'?) floridiani Cynic. Appena rilasciati da Evil Chuck, i due rientrano nuovamente nei ranghi della loro band e sfornano Focus, altro album destinato a cambiare per sempre il significato dell'espressione "death metal". Qui sì che jazz e fusion abbracciano ed addolciscono il death, trasformandolo in un qualcosa di nuovo e di semplicemente esaltante. Purtroppo, questa gemma rimarrà per molto, troppo a lungo l'unico disco di questa band davvero fuori dall'ordinario.
Cynic - How Could I, da Focus (1993)Non dimentichiamo i (chettelodicoaffare?) floridiani Disincarnate dell'ex-Death ed ex-Obituary James Murphy, il cui unico album ha probabilmente un impianto più classico, ma è comunque caratterizzato da quello shredding solistico della chitarra che ne legittima l'appartenenza a questo sottogenere.
Volevo mettere la mia preferita, Stench Of Paradise Burning, ma c'è solo un live merdosissimo.
Disincarnate - Monarch Of The Sleeping Marches, da Dreams Of The Carrion Kind (1993)In Europa non si sta con le mani in mano. Tra i pionieri del death più tecnico devono essere annoverati gli Atrocity, con i loro primi due dischi Hallucinations e Todessehnsucht (nel resto della loro discografia non si rinverrà più traccia di technodeath).
Soprattutto Todessehnsucht merita un discorso più approfondito, in quanto, benché misconosciuto, è un capolavoro assoluto. Nonché uno dei miei dischi death preferiti, forse addirittura il mio preferito dopo Blessed Are The Sick. Nei suoi riffs serpeggianti, nei suoi ritmi mutevoli ed irregolari, nelle sue oscure soluzioni armoniche, nella sua trama intessuta di sporadici ma grandiosi inserti di musica classica ho sempre ravvisato una eleganza tetra, gotica e solenne, capace di improntare di sé anche le parti più veloci e violente. Tanto che, a volte, mi sono figurato questo disco eseguito da un quartetto d'archi, ed ho concluso che non avrebbe sfigurato accanto alle composizioni di un maestro del Novecento quale, chessò, Bartok. Sì, ogni volta che risento questo album è un'emozione.
Atrocity - Sky Turned Red, da Todessehnsucht (1992)Non scordiamoci i folli austriaci Disharmonic Orchestra, che diamine!
Disharmonic Orchestra - Groove, da Not To Be Undimensional Conscious (1992)E soprattutto bisogna ricordare i già citati Pestilence. I quali, dopo lunga, gloriosa e cruenta militanza nel thrash/death più classico, ad un certo punto decidono di irrompere nel death più contiguo alla musica jazz/fusion, partorendo quel disco immenso che risponde al titolo di Spheres.
La canzone che linko è lunga solo tre minuti e mezzo, nel resto del video ci sono altri due pezzi. Fossi in voi, li sentirei.
Pestilence - The Level Of Perception, da Spheres (1993)E anche l'Italia viene rappresentata, grazie agli storici Sadist, che a me non piacciono ma che meritano senz'altro una menzione.
Sadist - Sometimes They Come Back, da Above The Light (1993)Cioè, ma quanta bella roba ho schiaffato in questa pagina?!