
1. Missing
2. Collapse
3. Black Wolves
4. Destroyer
5. Wretched Valley
6. Silver
7. Leave No Wounds
8. Death's Head
9. Wasteland
Ma che bel disco! E quanto mi ci è voluto per rendermene conto!
La musica è sempre la stessa. Vale a dire stoner, o doom, o sludge, o quel che è (ancora mica l'ho capito). Insomma, roba che richiama più o meno da vicino i cugini Neurosis.
Però stavolta i nostri l'hanno buttata pesantemente sul minimalismo. I pezzi (tranne l'ultimo) sono più brevi e lineari rispetto a quelli dei loro due precedenti lavori, e molto più aderenti alla classica forma-canzone. Gli elementi doomeggianti e psichedelici sono stati ridotti al minimo. Risulta altresì fortemente ridimensionata quella magniloquenza suggestiva ma un po' prolissa che caratterizzava i precedenti lavori. E anche il cantato di Josh Graham si è semplificato, preferendo spaziare all'interno di un range più ridotto, senz'altro più congeniale alla sua voce.
Quindi, a tutta prima ho pensato che l'album in questione fosse un po' povero, un po' troppo "striminzito" per guadagnarsi l'appellativo di "bel disco".
E invece...
Invece, pian piano l'ho assimilato, compreso ed apprezzato. In generale, infatti, la semplificazione adottata dai nostri ha comportato una significativa valorizzazione dell'anima hardcore della band americana.
Vero è che i riffs sono più elementari, ma è anche vero che ne hanno guadagnato in potenza ed in crudezza, caratterizzandosi per un approccio pur sempre abbastanza melodico ma più "muscoloso" e diretto.
Analogamente, la prestazione vocale di Josh Graham è solo apparentemente dimessa, mentre in realtà riesce a forgiare ottime linee vocali, rese ancor più suggestive da un timbro più ruvido ed abrasivo.
Inoltre, il batterista si ritaglia un ruolo da protagonista assoluto. Strano, in un genere che richiede un drumming assai quadrato, e mal digerisce licenze poetiche o tecnicismi eccessivi. Ed infatti il lavoro di batteria è estremamente solido e concreto, ma per l'intera durata del disco viene cesellato da splendidi giochi di accentature e sincopi, che conferiscono un inatteso dinamismo a ritmiche altrimenti piuttosto statiche.
Il tutto poi è qua e là impreziosito ed ingentilito da luminescenti intarsi di voci femminili e discreti tocchi di tastiere, mai troppo invadenti, mai fuori luogo. Giusto quanto basta per mitigare la ruvidezza dell'approccio con qualche momento di lieve vertigine.
Non si segnalano picchi di particolare rilievo, ma la qualità media dei pezzi è decisamente elevata. In questo 2011 (diciamolo francamente) avaro di album entusiasmanti, il nuovo ASOL è certamente una delle migliori uscite.