
1. Leukes Renkespill (Introduksjon)
2. Belus' Død
3. Glemselens Elv
4. Kaimadalthas' Nedstigning
5. Sverddans
6. Keliohesten
7. Morgenrøde
8. Belus' Tilbakekomst (Konklusjon)
Ok, è giunto il momento di farmi dei nemici

Questa è la recensione delle prime volte.
Per la prima volta scrivo di un genere/artista che non mi piace affatto. Di solito evito, perché ho paura che il mio giudizio risulti troppo tranchant; ma visto che questo album era così atteso, stavolta ho fatto un'eccezione.
Per la prima volta scrivo di un disco a cui ho dato appena due ascolti. Ciò perché, da un lato, mi pare che i citati due ascolti mi siano stati sufficienti a farmi un'idea di questo lavoro. E perché, dall'altro, dubito che potrei reggerne un terzo.
Non so quali siano stati gli intenti di Varg nel comporre questo disco: forse aveva intenzione di recuperare quella ingenua malvagità primeva del black metal che fu, o che so io. Fatto sta che il Burzy, nello scrivere ogni singola canzone di Belus, adotta il seguente metodo:
butta giù un riff, composto di tre/quattro accordi (non di più). E lo ripete. E lo ripete. E lo ripete.
Poi passa ad un altro riff, anch'esso fatto di tre/quattro accordi (assolutamente non di più). E lo ripete. E lo ripete. Ah, se lo ripete.
Poi torna al primo riff. E lo ripete. E lo ripete. E lo ripeeeeeete.
Ora, io credo profondamente nella ossessiva riproposizione dei riffs come forma d'arte. Alcuni dei gruppi che apprezzo di più ricorrono a tale tecnica compositiva: i Neurosis, i loro cuginetti A Storm Of Light, i Satyricon, persino i miei adorati Tiamat (una delle loro canzoni che amo di più è Mount Marilyn: due riffs ripetuti per undici minuti e passa). Tuttavia, nei lavori di tali bands la reiterazione continua delle frasi musicali è a volte ansiogena, a volte ipnotica, comunque sempre pregna di significato e finalizzata a comunicare un qualche genere di emozione; qui, invece, questa costante ripetitività è... beh, è ripetitiva, cazzo. Punto e basta. Risultato: du'palle!
Quanto alla tecnica, so bene che non è il caso di parlarne se si è alle prese con un disco di Burzum, ma almeno il drumming merita un paio di parole, in quanto è veramente ignobile.
D'accordo, mica si può chiedere a Varg di mettersi alla batteria e passare con disinvoltura dal 5/4 al 7/8 al 13/souncazzesimi. Ma porca puttana, in ogni singolo pezzo il drumming è sempre uguale, per minuti e minuti: così inizia, così finisce. Ci scappasse, che ne so, una spiattata per sbaglio, una rullatina, un qualche controtempo di cassa; macché, niente di niente. Se la batteria fosse stata sostituita da un metronomo, nessuno avrebbe notato la differenza.
L'unica canzone che mi comunica qualcosa è la penultima: strutturalmente identica alle altre, ha però un riff piuttosto evocativo, piacevole all'ascolto. Almeno per la prima cinquantina di volte che lo senti. Dopo, inizia a stufare anche quello.
Boh, forse è colpa mia, forse non sono abbastanza grim & frostbitten per cogliere l'essenza di questo disco, ma a me Belus pare un succedersi infinito e pallosissimo di giri di chitarra meno che elementari, suonati oltretutto male.
E - non me ne vogliano i fans di Burzum (o magari anche sì) - ancora una volta mi trovo a chiedermi dove diamine risieda la asserita grandezza di questo musicista.