Non vuol rubare o chiedere la carità
Ragazza rom fa arrestare 10 parenti
La giovane, che ha studiato e fatto un corso da parrucchiera, non voleva andare a rubare
MILANO - Non voleva saperne di diventare una «buona zingara», come volevano i suoi parenti. Non voleva guadagnarsi da vivere con gli scippi e il taccheggio nei negozi. Voleva andare a scuola, lavorare, vivere onestamente. E così si è ribellata: ha preso botte, cinghiate, ha vissuto segregata, ma alla fine è riuscita a far arrestare i suoi aguzzini. Protagonista della storia A., una 19enne rom, nata a Zagabria nel 1989, cresciuta in Germania ben integrata nella società ma ridotta in schiavitù una volta arrivata in Italia, tra la primavera del 2006 e l'aprile del 2008. L'intero clan familiare, padre, madre e zie, si è mosso - scrive il gip di Milano, Guido Salvini- come un'entità compatta, realizzando una schiavitù familiare espressione di una vera sub-cultura nel senso sociologico del termine». Per questo sono partite le ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 12 bosniaci: dieci, tra cui gli zii e la madre della ragazza, sono stati arrestati, mentre due, il padre e una zia, sono latitanti: potrebbero trovarsi in Bosnia.
PICCHIATA E SEGREGATA - Il giudice definisce la storia di A. la «ribellione e la diserzione di una giovane donna da una famiglia allargata di etnia rom e il suo rifiuto dei valori e degli stili di vita più retrivi e negativi che spesso contrassegnano tali comunità». Il clan viveva in un campo nomadi abusivo in via Guascona, alla periferia di Milano, zona Muggiano, dove si era trasferito dopo aver trascorso alcuni anni in Germania, paese in cui A. aveva regolarmente frequentato la scuola dell'obbligo e poi un corso professionale di parrucchiera. Con l'arrivo in Italia, però, la situazione per la giovane era precipitata. «Le era stato impedito - riporta il gip nell'ordinanza - di andare a scuola ed era stata più volte colpita con schiaffi, calci e cinghiate, poiché si era sempre rifiutata di andare, con altri familiari, a rubare in esercizi commerciali; per tale motivo era stata praticamente isolata nella sua baracca, costretta a vivere all'interno del campo e autorizzata ad uscire per fare la spesa solo se accompagnata da alcuni zii nel timore che si desse alla fuga». Il clan famigliare, si legge ancora nell'ordinanza, portava avanti attività delittuose nel campo del furto dei metalli, mentre le donne si dedicavano prevalentemente ai furti in esercizi commerciali e i minori all'accattonaggio.
LA DENUNCIA - Con la maggiore età A. si era resa conto che il padre era intenzionato a venderla ad un altro zingaro, che l'avrebbe acquistata per la somma di 20 mila euro e una certa quantità di oro. Al suo rifiuto, aveva dovuto subire molestie sessuali continue da parte del padre allo scopo punitivo. Ma alla fine la ragazza è riuscita a contattare gli agenti del servizio radiomobile della Polizia locale, prendere contatti con loro di nascosto e a raccontare la sua storia. Questo nonostante i genitori avessero cercato di convincerla che, in base alle leggi italiane, se si fosse rivolta alle autorità sarebbe stata arrestata. L'11 aprile dell'anno scorso A. ha raggiunto un'automobile degli agenti, che l'attendevano fuori dal campo, è stata accompagnata negli uffici della polizia dove ha sporto denuncia e poi trasferita in una comunità protetta gestita dal Comune, dove si trova tuttora.
L'AMICO ITALIANO - Ad aiutare la ragazza a ribellarsi alla cultura del gruppo e a fuggire ha contribuito anche un giovane italiano, che andava spesso a coltivare l'orto di suo padre nelle vicinanze dell'insediamento abusivo dei nomadi e aveva così avuto modo di fare amicizia con la 19enne.
http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 6381.shtml