Gli amici la nuova famiglia
Dal trasloco alle medicine, sono loro il paracadute della vita adulta
E voi chi chiamate quando restate chiusi fuori di casa alle due di notte, quando siete ammalati e avete bisogno delle medicine o della spesa, quando state traslocando e dovete trasportare un divano da una casa a un’altra, quando volete fare un salto all’Ikea e siete rimasti a piedi, quando avete una visita medica importante e non ve la sentite di affrontarla da soli? A chi vi rivolgete se vostro fratello, vostra sorella, i vostri genitori vivono in un’altra regione, magari in un altro Paese?
Rachel e Monica erano fortunate. A loro bastava scampanellare a casa di Chandler e Joey, sullo stesso pianerottolo, e il problema era risolto. Quello, però, era un telefilm, Friends. Nella realtà non va sempre così bene, ma di sicuro abbiamo tutti quei quattro, cinque, sei amici di riferimento da buttar giù dal letto di notte o da strapazzare di giorno se siamo in difficoltà. Se ne è occupato perfino l’Istat, classificando le «reti di aiuto informali» per quelle persone che si rendono disponibili a offrire ad altre tempo, risorse, cure: il 22,7% dei care given, così si chiamano in inglese, aiuta proprio gli amici. «È una rete utilizzata in particolare dalle madri sole, dai single, dai separati», spiega il direttore centrale Istat Linda Laura Sabbadini.
Gabriella Di Rosa, messinese trapiantata a Milano, se la ricorda ancora quella notte di dodici anni fa, quando sentì un crac e le si bloccò il collo. «Impaurita chiamai Gianluca. Mi accompagnò al pronto soccorso e rimase con me fino a quando non ne uscii con collare e prognosi di 30 giorni: colpo di frusta». «Mia sorella e mia madre vivono a Venezia. Io abito a New York da ventidue anni, ne ho quasi 50. È sempre stato fondamentale, per me, avere delle persone di riferimento. Quando ho dovuto traslocare o fare visite mediche particolari, e qui in America sono tremendi, vogliono sempre che ti presenti accompagnato per evitare cause, non sono mai stata sola», spiega Silvia Salvadori, dalla Laguna alla Grande Mela con la laurea in tasca in Chimica e Tecnologia farmaceutica. «Poi nel Duemila mi sono iscritta a Giurisprudenza. E anche allora i miei amici sono stati molto supportive, in particolare Ana e Adolfo, coppia spagnola. Io lavoravo come una matta di giorno, frequentavo i corsi di sera e studiavo di notte. Per tutto quel periodo loro mi hanno invitato a cena o mi hanno preparato una porzione in più, sempre». Così Silvia è riuscita a cambiare lavoro, adesso fa l’avvocato e si occupa di brevetti.
Valentina Dessì, sarda di Nuoro, si è trasferita a Milano ventidue anni fa. Ora ne ha 41, è ricercatore universitario e insegna Progettazione ambientale al Politecnico. Riflette: «Gli amici sostituiscono la famiglia e il tessuto sociale nel quale cresci. Sono funzionali a tutte le attività». Seduta sul divano di casa, mentre allatta Lorenzo, una pulce in tutina gialla, aggiunge: «Per tutta la gravidanza, che ho affrontato da sola, le mie amiche erano sempre presenti. Letizia e Francesca mi hanno accompagnata a fare l’ecografia, Adriana alla villocentesi. C’era la gara a chi potesse starmi vicino durante il travaglio: poi il problema non si è posto, ho fatto il cesareo...». I sociologi le chiamano «reti di solidarietà informale». «Sono rapporti caratterizzati da reciprocità e assenza di costrizione. Con la diminuzione del numero di fratelli e sorelle, l’attenuazione del ruolo dei parenti, cresce la necessità di costruirsi reti di appartenenza e di sostegno. È un fenomeno accentuato negli ultimi 10-15 anni, investe i 30-40enni che vivono in città diverse da quella di origine, riguarda persone scolarizzate e contesti sociali più elevati», spiega la sociologa della famiglia Carla Facchini.
Paola Ferragina, 40 anni di Catanzaro, è «salita» a Roma per l’università e lì è rimasta. Fa un esempio: «Quando mi si è rotta la macchina non mi è neanche venuto in mente di chiamare il carro attrezzi, ho avvertito Barbara, che è di Forlì. L’altra mia amica di sempre è Monica, polacca. Credo non sia un caso: soltanto chi arriva da un’altra città come te può capire chi è fuori sede». Manfredi Nulli, 36 anni, ha lasciato Palermo per Londra nel ’93. Lavora per una società di consulenza. Dice: «Mio fratello vive a Milano, mia sorella a Barcellona. Il doppione delle chiavi di casa qui l’ho dato a Chris, per non restare più chiuso fuori. Quando mi hanno sequestrato la moto, e dovevo andare a riprenderla molto lontano, mi ha accompagnato Albi in vespone. Se mi serve la macchina, faccio affidamento su Gabriella. All’inizio mi imponevo di non frequentare italiani. Ora sono affetto da campanilismo di ritorno».
http://www.corriere.it/cronache/10_marz ... aabe.shtml