
1. The Barren Lands
2. A Grave Inversed
3. After
4. Frozen Lakes On Mars
5. Undercurrent
6. Austere
7. Heaven's Black Sea
8. On The Shores
Se ce ne fosse stato ancora bisogno, Ihsahn conferma una volta di più la sua straordinaria qualità di compositore di rara classe e raffinatezza, lasciandosi definitivamente alle spalle il primigenio black ed abbracciando un progressive metal estremo di ottima fattura.
Al solito, l'Imperatore ci fa dono di un album giocato sui chiaroscuri, nel quale da un lato ci blandisce con morbide ed ariose parti arpeggiate e dall'altro ci colpisce con accelerazioni ancor più compatte, rocciose e ritmate che in passato.
Rispetto ai predecessori, questo disco è letteralmente dominato dalle chitarre: che si tratti di arpeggi o di riffs distorti, è la chitarra a menare le danze, ad improntare di sé l'intero lavoro e a produrre atmosfere a tratti cupe, a tratti maggiormente aperte e "musicali", sempre molto suggestive. Risultano invece drasticamente ridimensionati rispetto al passato gli inserti sinfonici di tastiera; il che, assieme ad una maggiore semplicità della composizione, conferisce a quest'album un tocco di "minimalismo" sconosciuto ai suoi predecessori.
La novità più rilevante è senz'altro rappresentata dall'uso del sassofono, suonato da Jorgen Munkeby degli Shining (

Abbiamo già dato conto del fatto che la composizione è più semplice e minimalista che in passato; ma ciò non impedisce certo ad Ihsahn di esibirsi in riffs alquanto complessi e di giocare con i tempi, come nelle ottime The Barren Lands e After.
Tanto per cambiare, un gran bel disco.
Ma...
Lo so, ultimamente sono insopportabile (rectius, più insopportabile del solito), ma ogni nuovo disco che ascolto mi lascia regolarmente con un "ma" fastidioso come un sassolino nella scarpa. E questo non fa eccezione.
La semplicità della composizione e la centralità della chitarra hanno mietuto vittime: le orchestrazioni sinfoniche e gli sprazzi fusion dei predecessori sono in larghissima parte stati sacrificati. E con essi è venuta meno quella magia nera straordinariamente affascinante che caratterizzava sia The Adersary sia, soprattutto, Angl. Tanto per intenderci, qui non troverete niente di paragonabile alla radiosa apertura di Elevator, o al ritornello di Will you love me now, o al sapiente lavoro di tastiere di Threnody. Il che non è bene.
Ancora: la già ricordata forte riduzione di momenti fusion sottrae spazio a Lars K. Norberg, prodigioso bassista ex Spiral Architect, che in Angl liberava pienamente il suo straordinario lirismo di stampo jazzistico e che invece, qui, si limita quasi sempre a fornire ossa e muscoli supplementari alle chitarre. Il che, come sopra, non è bene.
Poi, la voce. Ormai è impossibile discutere Ihsahn come cantante: rispetto ai tempi degli Emperor è cresciuto esponenzialmente sia nello screaming sia nel pulito, arrivando a padroneggiare perfettamente questo problematico strumento. Tuttavia, in questo album la sua prestazione vocale appare lievemente sottotono rispetto ai suoi nuovi standards. In particolare le linee vocali in pulito, benché ben eseguite, sembrano sin troppo piane e semplici, come se il nostro non avesse voluto mettere alla prova il suo cantato. E anche ciò non è bene.
Infine: come quasi tutti i dischi nellastoria della musica, anche quelli di Ihsahn hanno sempre avuto un paio di pezzi più deboli; ma mai niente che si fosse potuto qualificare "un riempitivo". Invece qui, per la prima volta, un filler c'è eccome. Trattasi di The Frozen Lakes On Mars, veramente una canzoncina senza pretese. E pure ciò, tanto per cambiare, non è bene.
Concludendo: un bell'album, da ascoltare e riascoltare, che conferma le qualità di musicista e la straordinaria classe di Ihsahn; ma non raggiunge il livello straordinario di Angl, che rimane disco di tutt'altro livello.