
1. Satellite 15... The Final Frontier
2. El Dorado
3. Mother of Mercy
4. Coming Home
5. The Alchemist
6. Isle of Avalon
7. Starblind
8. The Talisman
9. The Man Who Would Be King
10. When the Wild Wind Blows
Il nuovo disco degli Iron Maiden. Uau.
L'uscita di ogni nuovo lavoro della Vergine di Ferro è ormai da anni un evento, la coronazione di un'attesa spasmodica da parte dei fans più sfegatati, nonché l'occasione di feroci scannamenti verbali tra chi difende a prescindere la leggenda dell'heavy metal e chi, altrettanto a prescindere, la stronca senza appello.
Quanto a me, non mi sento affatto parte di cotanto fermento. Come sempre da circa dieci anni, nutro ben poche aspettative sul nuovo album targato Harris & Co. E, come sempre da circa dieci anni, la mia scarsa aspettativa si rivela regolarmente giustificata. Da The Final Frontier mi aspettavo poco; C.V.D., The Final Frontier è (a mio avviso, ovviamente) un disco da poco.
Dire che i primi tre pezzi sono poca cosa è eufemistico. Brani mosci e privi di mordente (la titletrack), quando non veramente brutti (quel troiaio di El Dorado), privi di idee degne di nota, caratterizzati da ritornelli deboli e persino sgradevoli (Mother Of Mercy), da chitarre che non risaltano (e QUESTE sarebbero tre chitarre?! Ma suvvia) e probabilmente dalla peggior prestazione vocale nella carriera di Dickinson. Insomma, le premesse sono mica male

Poi, Coming Home, la più classica power ballad maideniana. Ecco, questa è proprio buona. Sarà che spicca sulla pochezza che la precede, ma funziona: il lavoro di chitarre è (finalmente) ottimo, il pezzo è ben strutturato, le linee vocali sono suggestive quanto basta e persino la voce di Bruce pare migliorare rispetto alle prime canzoni. Segue The Alchemist, altro brano ultraclassico, roba già sentita ma comunque rapida, grintosa, gradevole ed incisiva. E, dopo questa doppietta, l'ascoltatore pensa: "Stai a vedere che il disco svolta?".
Beh, quanto a svoltare, svolta. Ma dalla parte sbagliata. Basta vedere il minutaggio dei brani successivi per capire che, come si dice dalle mie parti, "sòna a morto".
Detto fatto. Gli ultimi cinque pezzi sono quasi insostenibili. Una profusione di lunghissimi intro acustici, lunghissimi soli di chitarra, lunghissimi bridges in cui i nostri eroi giocano a fare i progghettoni. Purtroppo, per fare i progghettoni non è sufficiente innestare semplicemente su qualche tempo dispari i soliti riffs triti e ritriti. Il risultato? Cinque maldestri e malriusciti tentativi di rifare Alexander The Great.
Ad essere onesto, devo ammettere che forse Starblind si salva un po' grazie ad un ritornello niente male. Beh, grazie al cazzo, è praticamente rubato dalla seconda parte di Infinite Dreams. The Talisman invece è semplicemente insignificante, mentre le ultime due sono noiose oltre ogni dire.
Nulla da fare, i Maiden in salsa prog proprio non funzionano. I pezzi sono ambiziosi (troppo, anzi la parola giusta è "pretenziosi"), ma non sono assolutamente sorretti da un songwriting all'altezza. La composizione è povera e priva di ispirazione, e ciò che ne viene fuori è la solita minestra riscaldata e per giunta parecchio allungata. Ok, riconosco che, soprattutto per una band di lungo corso, è assai difficile evolvere senza stravolgersi; ma mi pare che la band inglese, da un paio di dischi a questa parte, sia riuscita nell'ardua impresa di stravolgersi senza evolvere.
Sarebbe bene che gli Iron Maiden decidessero cosa fare degli ultimi anni della loro sfavillante carriera. Se intendono continuare a celebrare la loro leggenda sui palchi di tutto il mondo, possono proseguire la loro indefessa attività live e lasciar perdere la produzione di nuovi pezzi; se invece vogliono fare qualcosa di serio e degno di essere ascoltato, allora dovrebbero piantarla con la loro infinita successione di tours, prendersi un paio d'anni di pausa, chiudersi in studio e comporre seriamente. Questo The Final Frontier mi sa davvero di disco tirato giù di fretta tra un concerto e l'altro, con Harris che, mollemente adagiato su un sedile del Flight 666, ammazza il tempo componendo col basso acustico, e Dickinson che fa le linee vocali canticchiando distrattamente mentre manovra la cloche.